Coinvolte per ora Abruzzo, Basilicata, Campania e prossimamente anche Calabria. Solo per la Basilicata il danno all’erario sarebbe di 18 milioni di euro
Prima la Basilicata, poi Abruzzo e Campania e fra non molto anche in Calabria. La tegola delle indennità accessorie si è abbattuta sulle guardie mediche di queste regioni ed è probabile che il problema possa estendersi anche ad altre Asl in tutta Italia. In pratica i medici della continuità assistenziale devono restituire le indennità accessorie che hanno ricevuto negli ultimi dieci anni. Si tratta di circa 5 euro l'ora, frutto di un accordo integrativo decentrato firmato in Regione da sindacati e parte pubblica tuttora in vigore, contemplato a sua volta nell’Accordo Collettivo Nazionale. Ma la Procura contabile ha contestato ratio e quantum di quelle identità – pari a circa 60/70mila euro per ogni professionista - che, solo per la Basilicata, avrebbero prodotto un danno all’erario di 18 milioni di euro.
L'origine della richiesta
Dal 2001 i medici addetti al servizio di guardia medica, ribattezzati oggi di continuità assistenziale, a fronte di sedi fortemente disagiate, montane, isolate, percepiscono, in aggiunta al compenso professionale previsto dall’Accordo Collettivo Nazionale un’indennità di rischio pari a 3,5 e di 4 euro (dal 2008) lordi ora onnicomprensiva. E’ una voce integrativa regionale prevista dagli accordi decentrati, contemplati a loro volta nell’Accordo Collettivo Nazionale. In totale il medico di guardia che lavora di notte (orario di servizio 20 – 08) e nei giorni festivi(dalle 8 alle 20) percepisce la somma oraria complessiva lorda di 26 euro. Per cui da quasi 10 anni questi medici riescono a guadagnare, mediamente 2400 euro lordi al mese, che privati di tasse (circa 700 euro) e contributi previdenziali (circa 200 euro), si riducono a 1500 euro al mese, ma senza 13esima, senza diritto a indennità di malattia, senza diritto a ferie, senza copertura assicurativa professionale che deve essere stipulata da singolo medico. Per cui dover restituire queste somme non va giù a tanti camici bianchi.
La reazione
I professionisti coinvolti nella vicenda hanno avviato una serie di azioni di protesta. Ovvero stop all'uso della propria auto per l'esercizio dell'attività che invece va svolta solo con la macchina di servizio. Ma il 15 novembre è arrivata una nota dell’Asl che intima loro di adoperare il proprio autoveicolo, giacché nel contratto nazionale (in attesa di rinnovo da 9 anni) l’art. 72 dice che “spetta al medico, qualora l’azienda non sia in grado di assicurargli un mezzo di servizio, utilizzare il proprio in cambio di un rimborso forfettario pari al costo di un litro di benzina per ogni ora di attività, nonché adeguata copertura assicurativa”.E mentre le Asl cercano di recuperare quanto erogato, la Procura contabile apre tre filoni d'indagine: uno , uno a carico dei due dirigenti che hanno liquidato per anni le indennità, uno a carico del livello regionale dove è stato redatto l’accordo decentrato da cui discendono, un terzo a carico della giunta che ha deliberato quel tipo di accordo.
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